L’8 luglio 2022, Repubblica pubblicava un articolo con un titolo molto forte: Istat, l’Italia è il Paese dei single. E nel 2045 le coppie senza figli supereranno quelle con bambini.
Quasi nove milioni (più di quattro volte gli abitanti di Milano). A tanto ammonta il numero dei single in Italia. L’età matrimoniale si alza sempre di più, 32 anni nella media per le donne. Il 10% delle italiane tra i 25 e 49 anni vive sola e senza figli. Il 70% delle persone che vivono senza legami stabili ha più di quarant’anni e circa il 55% più di cinquanta.
Le ragioni sono svariate e l’intento di questo articolo non è analizzarle ma non possiamo rimanere inermi davanti a questo “nuovo fenomeno” culturale e di costume nella nostra nazione.
Che esso sia positivo o negativo (poco importa), la domanda che bisogna porsi è: “che risposta può dare la chiesa?”
Consideriamo che “single” sono anche coloro che erano sposati una volta ma adesso non lo sono più come persone vedove, divorziate, separate ecc. Oltre un terzo dei single, infatti, di solito, è reduce dalla fine di una relazione. Persone con un’età variabile fra i 35 e i 70 anni, per le quali rimettersi in gioco non è facile. Specie se hanno alle spalle storie complicate o dolorose.
Non entrerò nel merito (specialmente per la questione divorzi e separazioni) perché sono tante le diverse linee dottrinali. Lascio la riflessione in tal senso alle rispettive denominazioni e linee ecclesiali (incoraggiando a tutti ad intavolare il discorso prima possibile).
Senza nessun giudizio, credo che la chiesa italiana e non solo abbia tanto da processare e meditare in questa area. Siamo, credo, in ritardo sulla riflessione e attuazione di questi temi (parlo in senso generale per quella che può essere la mia impressione).
Non sto in alcun modo scoraggiando il matrimonio (dopotutto mi sono sposato a 30 anni), ma credo che la chiesa possa fare di meglio in questo campo. Se la tendenza del matrimonio ritardato continua (i sociologi dicono di sì), dobbiamo prevedere persone che hanno percorso lo stretto sentiero del celibato insegnando a coloro che verranno dopo di loro.
La tendenza della chiesa a responsabilizzare principalmente SOLO uomini e donne sposate, per qualsiasi ragione anche la più nobile – dovrebbe essere riconsiderata per molteplici considerazioni.
Riporto, infatti, alcune di queste scritte da Lore Ferguson per Christianity Today e adattate personalmente secondo quello che credo sia il contesto socio-religioso italiano.
1. I single, potenzialmente, possono essere più disponibili per il ministero e lo studio rispetto alle loro controparti sposate.
L’apostolo Paolo incoraggia i single a non essere distratti nella loro devozione al Signore. Tuttavia, una persona single dovrebbe avere più tempo da dedicare allo studio della Bibbia, al discepolato, al ministero e al servizio rispetto a una persona sposata. Questo è un dono prezioso e non dovrebbe essere trascurato all’interno della chiesa. Le chiese devono dotare i loro single di opportunità per crescere nella loro devozione al Signore, in particolare nel ministero vocazionale.
2. Vivere senza partner consente ai single di affrontare le realtà dolorose della vita senza cercare conforto in un coniuge.
Senza la routine quotidiana del patto matrimoniale che attraversa le loro vite, i cristiani single possono sentire profondamente il peso della solitudine. Non c’è nessuno che aiuti ad assumersi l’onere di bollette, faccende domestiche o preoccupazioni varie come farebbe un coniuge. In questi momenti la mancanza può essere quasi un’agonia. Penso a Cristo nei suoi ultimi momenti nel giardino del Getsemani con i suoi discepoli: “non potreste vegliare con me? Rimanete svegli?” Come deve avergli fatto male la solitudine in quei momenti.
C’è quiete nella vita di un single che può essere un dono, ma può anche essere una stanza dell’eco delle tenebre dove le difficoltà devono essere affrontate solo con Dio. Questo equipaggia i cristiani single in modi unici per ministrare con l’obiettivo di trovare la nostra forza solo in Cristo come nostro vero ed eterno sposo.
Kathy Keller, in un panel sul tema alla recente Gospel Coalition Women’s Conference, ha affermato: “I single hanno in molti modi più opportunità di mostrare cosa significa essere la sposa di Cristo nella loro condizione attuale”.
3. Cristo chiede santità, purezza e castità ai single, allora abbiamo bisogno di modelli di coloro che vivono quelle virtù in periodi prolungati.
Tutti lottano per la loro purezza ma coloro che sono single hanno una sfida ancora più grande (non possiamo negarlo). La loro purezza è anche legata alla loro castità.
Ricordiamo che per Gesù, l’unica alternativa alla castità è il matrimonio. Quando il matrimonio non arriva, significa che la castità è prolungata e conclusiva.
In questo stato si può veramente sperimentare (in tutto e per tutto) che cosa significa: “Gesù è abbastanza, Gesù è sufficiente”.
Essere soddisfatti in Cristo mentre si è single non è semplice. A volte è una guerra molto reale contro la carne. La chiesa ha un disperato bisogno di singoli ministri che comprendano questa guerra estesa. Comprendono in modo profondo e quotidiano lo strazio di non essere ancora arrivati alle sponde dell’eternità.
Chiesa, riempi la tua squadra anche di uomini e donne single. Non limitarti solo a persone sposate oppure a inserire i single solo in ruoli considerati “meno importanti”.
La cultura odierna continua a prolungare i tempi per il matrimonio e specialmente mentre aumentano i quesiti sull’attrazione per lo stesso sesso, abbiamo bisogno di uomini e donne che abbiano saldamente piantato i piedi sulla roccia della purezza e della devozione senza distrazioni al Signore.
Nella mia piccola esperienza di chiesa locale vedo alcuni single (non farò nomi per non imbarazzarli) al servizio al Signore con grande devozione. Sono di grande incoraggiamento per noi e per tutta la chiesa.
Dobbiamo fare sicuramente di più e questa è la mia ambizione.
Dobbiamo creare più spazi ed essere più inclusivi. Spero in un prossimo articolo di parlare anche dell’importanza dell’ospitalità verso chi è single e spesso solo in mezzo alle famiglie della chiesa.
Dio ci benedica,
Antonio Morra